
Sull’isola di Maguelone, nella laguna prospiciente Montpellier, una cattedrale esisteva già dal 533, quando è documentata la sua elezione a diocesi. Nei secoli successivi la zona è occupata dai Visigoti e infestata dalle scorribande saracene che qui, nel suo porto, si insediano dopo il 719 quando conquistano la zona. La prima cattedrale viene trasformata in moschea e poi distrutta nel 737 dai Franchi guidati da Carlo Martello che riconquistano queste terre. Per tre secoli il luogo rimase disabitato e la cattedrale trasferita nell’entroterra. È nel 1033 che il vescovo Arnaud, dopo un viaggio a Roma, ottenne da papa Giovanni XIX una bolla a sostegno dei lavori alla cattedrale, e cominciò la sua ricostruzione. Di questo edificio rimane solo la cappella di Sant’Agostino sul fianco meridionale, dove egli venne sepolto di ritorno da un viaggio in Terrasanta. Da quest’epoca sappiamo dal Chronicon Magalonense Vetus l'esatta successione dei lavori, iniziando dalla fortificazione dell’isola, che diventò inoltre un centro culturale di primaria importanza.
La chiesa nel 1085 venne donata dal conte di Melgueil al vescovo e da questi a colui che lo aveva nominato, papa Gregorio VII, divenendo così un feudo papale. Urbano II, il papa successore, venne a soggiornare nell’isola nel 1096. Nel 1118 fu la volta di papa Gelasio II, quindi dell’abate di Cluny, Pons de Melgueil, e l’abate Suger di Saint-Denis, che descrisse l’isola come abitata solo dal vescovo e dai suoi chierici. Callisto II nel 1119, Innocenzo II nel 1130 e infine Alessandro III nel 1162 ricevettero ospitalità a Maguelone e a quest’ultimo si deve consacrazione dell’altare maggiore nel 1162 sotto l’egida del vescovo Jean de Montlaur. Nel secolo successivo durante la lotta contro l’eresia catara quando l’isola divenne la cittadella dell’ortodossia, il legato papale Pierre de Castelnau, arcidiacono di Maguelone, venne assassinato (1208) facendo precipitare lo scoppio della crociata contro gli albigesi e nel 1215 il conte Raymond VI di Tolosa, sostenitore dei càtari, divenuto per matrimonio conte di Melgueil, fu spossessato dei suoi beni e questi incamerati al possesso papale e donati al capitolo della cattedrale. Questo periodo segna l’apogeo della cattedrale, che oltre alla ricchezza dei lasciti aveva ricevuto il diritto di battere moneta, i denari melgoriani. Stretto dalle usurpazioni e i desideri del re di Francia e dei re d’Aragona, poi di Maiorca, divenuti signori di Montpellier, inizia nel XIV secolo un periodo di decadenza, aggravato dal nepotismo, dai conflitti tra vescovi, il capitolo e l’università e dall’assenza dei prelati sotto il papato avignonese che si concluse col trasferimento nel 1536 della sede episcopale a Montpellier, sulla terraferma.

ARCHITETTURA L’unità architettonica dell’edifico non deve far dimenticare che venne realizzato in tre fasi costruttive di un programma ambizioso dei suoi prelati: Arnaud (1030-60), Galtier (1104-29), Raymond (1129-58) et Jean de Montlaur (1158-90). Il Chronicon Magalonense Vetus (1158-66) ci restituisce eccezionalmente le fasi della costruzione in modo puntuale come raramente è successo nel passato. Il vescovo Arnaud credette di aver trovato la fondazione della chiesa visigota e su questa costruì la nuova cattedrale, un edificio ancora modesto, costruito con conci di piccole dimensioni con una tecnica “alla lombarda”, con una corta e larga navata non coperta da volte che ad est si apriva in un basso transetto ed un’abside semicircolare internamente e poligonale all’esterno, secondo una tipologia diffusa in Linguadoca. Di questa cattedrale attualmente rimane la cappella di Sant’Agostino, tra transetto sud e terza campata della navata. Questa torre quadrata rinforzata da contrafforti angolari è voltata a botte trasversale ed accoglie le spoglie del vescovo Arnaud.

La seconda campagna di lavori (1104-58) venne a realizzare la nuova cattedrale: l'edificio, costruito come una fortezza e in cui lo spessore murario supera spesso i due metri ha un’ampia navata voltata a botte leggermente archiacuta, con la volta sorretta da archi trasversali (arcs doubleaux) a tripla ghiera. Il vescovo Galtier cominciò dalla ricostruzione del transetto e del coro con le tre absidi, conservando la precedente navata per poter continuare ad officiare la chiesa. Quindi iniziò la costruzione della torre del Santo Sepolcro, nonché i nuovi edifici annessi, come le cantine, il refettorio ed il dormitorio dei canonici. Il suo successore Raymond (1129-58) li portò a termine sopraelevando la torre e costruendone una simmetrica a sud, oggi scomparsa, la torre Santa Maria. La grande abside semicircolare (9,5 m di diametro) rivela ancora gli elementi decorativi della prima arte romanica nelle arcate cieche su sottili colonnette addossate alla parete e la cornice a dentelli che la sormonta come quella marcapiano sulle quali è impostata la finta loggia cieca e con le tre monofore absidali. Le absidiole semicircolari e in spessore di muro del transetto, esternamente la parete è piana, invece sono caratteristiche della zona e si trovano nell’abbazia di Saint-Guilhem-le-Desert.

Le volte del transetto a crociera ogivale sono state costruite con una tipologia arcaica, avendo i larghi costoloni a sezione rettangolare, e rimangono un quesito aperto sulla loro data di costruzione se anteriore o posteriore al 1129. Queste volte non erano pensate in origine e vennero realizzate successivamente, senza utilizzare i consueti pilastri angolari a muro o le mensole, ma creando degli adattamenti per accogliere la ricaduta dei costoloni in modo un po’ improvvisato. Un’altra particolarità del coro di Maguelone è la presenza di due torri elevate da Raymond di cui sussiste solo quella a nord (torre del Santo Sepolcro) che avevano una chiara funzione difensiva, come si trova ad Agde, Quarante, Pons e altre chiese del litorale. Queste torri ospitavano cappelle funzionali alla liturgia ed erano collegate all’ala superiore del chiostro per una scala in spessore di muro.

Le fortificazioni dell’abside e del transetto che si ritenevano aggiunte in un secondo tempo da Jean de Montlaur, da un’indagine archeologica risultano contestuali all’edificazione della nuova fabbrica. Il materiale usato esternamente è diverso di quello all’interno dove è utilizzata un’arenaria di facile estrazione e poco resistente agli agenti atmosferici. La fase successiva, sotto Jean de Montlaur (1158-90) vide la ricostruzione della navata di tre campate che si andò ad innestare sul transetto in modo armonico tanto che è difficile scorgere nei punti di congiunzione le difformità tra le due opere e che si può rilevare solo da un attento esame della forma delle arcate o dei paramenti murari l’evoluzione tecnica. Questa navata unica, larga 10 m e alta sotto le volte 19,50 m, dalle proporzioni equilibrate, apparirebbe ancora più imponente senza la presenza della pesante galleria costruita sulle prime due campate. Essa è rivestita secondo il caratteristico opus Monspelliensium, una modalità di rivestire la parete con pietre a corsi alternati, che garantisce un risparmio di pietra da taglio ed un miglior coesione tra paramento e blocchi di pietra sottostanti. Lo spessore dei muri (anche di 2,5 m) è dovuto sia alle indubbie necessità difensive sia alla necessità di sostenere la pesante volta a botte archiacuta, anche per la sottigliezza dei contrafforti esterni. Quest’incredibile spessore del muro ha permesso ai costruttori di realizzare al piano della galleria due cappelle orientate in spessore di muro annesse al coro dei monaci, la cappella Saint-Michel a sud e quella Saint-Nicholas a nord.

La galleria costruita sulla bassa e larga volta delle prime due campate, un insolito organismo per le costruzioni della Linguadoca, apparentemente un’aggiunta successiva alla cattedrale, risulta invece già esistente alla morte del vescovo Raymond (1158) tale da costituire una chiesa superiore riservata ai canonici, con un suo altare e le sue cappelle. Nel XIII secolo alla facciata vennero aggiunte due torri di cui una demolita (torre di San Giovanni) mentre della seconda, a sinistra della facciata, rimangono alcune rovine (torre del Vescovo). La facciata alta e stretta è suddivisa in tre parti da due contrafforti che sostenevano tre archi acuti che formano le caditoie, di cui rimane solo il centrale restaurato. Il portale marmoreo che vi si apre, in origine doveva essere alla fine di un corridoio chiuso tra le due torri lungo 12 e largo 4 m. Questo passaggio venne successivamente coperto a formare una specie di vestibolo, di cui si vedono tracce nella muratura e spiega l’esiguità del portale stretto.

SCULTURA Questo portale risulta l’esito del montaggio di pietre scolpite con marmi di colori differenti dovuti all’utilizzo di pietre di recupero. La lunetta archiacuta dove è raffigurato in una mandorla polilobata il Cristo in trono benedicente, attorniato dai simboli dei quattro Evangelisti e avvolta da una ghiera in conci policromi dal bianco, al grigio chiaro al melange dei due colori a seconda della pietra utilizzata.

Sotto la lunetta è un alto architrave con motivo a girali riccamente decorati. Nei piedritti del portale sono due lastre con le figure in bassorilievo dei patroni San Pietro e San Paolo. A sinistra, San Paolo inginocchiato, brandisce con la destra la spada e con la sinistra tiene il libro delle Epistole appoggiato sul ginocchio sinistro leggermente flesso. Egli è rappresentato a piedi nudi mentre sulla destra San Pietro porta dei sandali ed è con le canoniche chiavi ed un libro in mano. Entrambi sono vestiti di una tunica pieghettata con un mantello a coprire le spalle. La conformazione ad arco affrontata dei due pannelli ha portato a supporre che fossero due parti laterali di una lunetta di una chiesa precedente al presente portale. Il timpano originario doveva avere al centro un Cristo in maestà, ma per le dimensioni ridotte del portale non poteva essere inserito qui integralmente.

In riferimento all’architrave del portale, datato al 1178, queste sculture risultano certamente antecedenti per la tecnica scultorea a bassorilievo, le teste dal viso rude ed espressivo, i capelli e le barbe coi baffi vigorosamente stilizzati, la sproporzione delle braccia e delle mani, nonché l’uso del fondo liscio e uniforme, elementi tutti che ricordano gli avori carolingi. Tutti questi caratteri evocano la scultura della Linguadoca della fine dell’XI secolo o al più della prima metà del XII. Per questo motivo si è supposto che potesse essere il portale della chiesa del vescovo Arnaud o del portale previsto per una precedente campagna di lavori (1104-58). Sopra gli stipiti del portale sono due mensole a reggere l’architrave che sono ornate dalle teste dei due apostoli, ma rispetto alle due lastre frontali, sono in rilievo e sono invertiti di posizione. Le teste scolpite hanno però gli stessi lineamenti e dettagli di quelli realizzati a bassorilievo. Dette mensole reggono l’architrave che risulta anch’esso di riuso, data lo scarto coi piedritti che lo sorreggono e con la lunetta superiore. La sua datazione è accertata dall’iscrizione incisa sul bordo ed è stata eseguita su una pietra miliare romana in marmo grigio cesellando girali a fogliami derivati dall’acanto, le cui volute disegnano sei rosette finemente intrecciate con steli e palmette, affini a quelli di Saint-Gilles-du-Gard, Arles, Notre-Dame de Pommiers a Beaucaire.

La lunetta è l’opera più recente del portale ed è inscritta in una ghiera archiacuta a conci policromi bianchi, grigi e a grana mista. L’arco a sesto acuto nell’intradosso e quasi a tutto sesto nell’estradosso mostra conci irregolari e la chiave stessa dell’arco tagliata in modo difforme del consueto è presumibilmente appartenuto ad un altro portale, a pieno centro, quindi più largo. Sarebbe così un montaggio avvenuto verso la fine del XII o inizio XIII secolo di elementi recuperati da una precedente costruzione e qui tagliati e adattati per inserirli in una facciata più stretta.

La lunetta stessa, costruita in un marmo bianco che il tempo ha connotato di sfumature bionde, denuncia nei dettagli la sua datazione tarda e già gotica. Il Cristo in maestà, assiso su un trono scanalato, è infatti raffigurato in una mandorla polilobata dal disegno complicato. Egli è attorniato dai simboli del Tetramorfo mentre una leggera frangia di nubi li avvolge nell’intradosso. Le vesti del Signore, pesanti e complesse, sono di uno stile romanico tardivo, nonostante alcuni segni di arcaismo nella sproporzione delle mani e delle figure. Una scultura tardiva quindi degli atelier di Saint-Gilles ma già influenzata dall’emergente scultura gotica del Nord e dell’Ovest della Francia. All’interno l’abside centrale è illuminata da tre alte monofore in cui l’archivolto torico ricade su esili colonnette dai capitelli, purtroppo rifatte nel XIX secolo. Sopra la curvilinea panca presbiteriale, residuo dele chiese paleocristiane, si erge una parete liscia fino alla cornice modanata che segna l’imposta della loggia ad arcate cieche, a tre a tre alla maniera lombarda, in cui si aprono le suddette monofore. In alto è conclusa da un cordone a dentelli d’ingranaggio concluso da una cornica modanata. Sull’asse dell’abside sono conservati nel paramento i segni del seggio episcopale dall’alto dorsale triangolare realizzato in marmi preziosi per il vescovo Raymond (1129-58), mentre l’altare maggiore costituito da una pietra semplicemente modanata è quella originale consacrato nel 1162 da papa Alessandro III.

Nel transetto nord è la cappella del Santo Sepolcro con absidiola semicircolare stretta ed elevata costruita tutta in spessore di muro. Interessante qui è un sarcofago in marmo grigio del VI-VII secolo, opera della scuola d’Aquitania, dal coperchio malauguratamente rotto, ma dalla vasca scantonata con colonne scanalata con girali di pregevole fattura ed eleganza quasi romana. Da una palmetta piramidale posta al centro si diramano avvolgimenti flessuosi che mescolano viti e acanto. Questo sarcofago si trova da un secolo ai piedi di un mausoleo gotico a baldacchino in arenaria erosa dall’umidità del cardinale Raymond de Canillac (morto nel 1373). Sotto la crociera del transetto si trovano lastre sepolcrali degli antichi vescovi di Maguelone qui seppelliti. Nel transetto sud è la cappella di Santa Maria, dove analogamente a quella nord troviamo l’absidiola in spessore di muro e la copertura a crociera su costoloni a sezione rettangolare che ricadono negli angoli senza gli appositi sostegni palesando un inserimento non previsto in fase di costruzione. Nell’angolo sud-ovest sotto un architrave sormontata da arco di scarico è una stretta porta, tamponata, la Porta dei Morti, che metteva in comunicazione con il retrostante cimitero.
Testo e foto Paolo Salvi
Bibliografia essenziale: Jacques Lugand, Jean Nougaret, Robert Saint-Jean, LANGUEDOC ROMAN, Ed. Zodiaque, 1985 (2. ed.)


DOCUMENTAZIONE FOTOGRAFICA
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