STORIA La chiesa di San Tommaso faceva parte di un’abbazia benedettina e risale presumibilmente alla fine dell’XI secolo o inizio del successivo, nell’ambito delle costruzioni matildiche in area mantovana, come le coeve San Fiorentino a Nuvolato, San Lorenzo a Pegognaga e San Benedetto a Gonzaga. Rientra presumibilmente nel programma di rinnovamento della Riforma Gregoriana dell’ultimo quarto del XI secolo (Papa Gregorio VII, 1073-1085). La basilica precedente, già esistente nell’XI secolo (documentata nel 1053), venne profondamente rinnovata agli inizi del XII dall’abate Pietro (1101-1130) probabilmente secondo un progetto unitario con la sopraelevazione della navata centrale e l’ampliamento delle finestre per avere una maggiore luce, aggiungendo un decoro figurativo che sfruttasse il nuovo spazio in alzato e ricoprendo la pavimentazione di un manto a mosaico.
ARCHITETTURA
La chiesa è a pianta a croce latina con transetto sporgente, tre navate e tre absidi, di cui resta solamente la maggiore ampliata e modificata in epoca barocca. Di epoca romanica rimangono le navate divise da colonne cilindriche, tranne due che sono poligonali, in cotto, e coperta da volte a crociera nelle navatelle e aggiunte in epoca barocca nella navata maggiore che originariamente doveva essere coperta da capriate. Nel sottotetto si può notare che sulle catene delle capriate doveva essere posto un tavolato o un soffitto piano.
AFFRESCHI
Il programma iconografico segue modelli che si stanno diffondendo da Montecassino, Roma e Farfa: un Giudizio Universale in controfacciata con a sinistra (verso sud) i beati, mentre a destra (nord) sono i reprobi. Sulle pareti della navata maggiore sono i profeti del Vecchio Testamento, mentre sull’arco trionfale erano raffigurati i progenitori, Storie di Adamo ed Eva, dalla Genesi. Gli affreschi cominciarono ad essere riscoperti dal 1965, grazie agli scrostamenti di intonaco voluti dal parroco don Sante Bigi.
Al di sopra delle arcate si stende una ricca decorazione pittorica ad affresco disposta su due registri, quello superiore reciso dalle volte inserite in epoca seicentesca. Parte degli affreschi sono visibili nel sottotetto e raffigurano il Nuovo Testamento al disopra del coro dei monaci, mentre sopra la navata maggiore sono raffigurazioni dell’Antico Testamento. L’accesso al sottotetto è consentito da una scala che porta al campanile addossato al fianco settentrionale e costruito in epoca successiva, tardo rinascimentale.
Nella navata sono nel primo registro sulla parete nord e sud i Patriarchi, in tutto 44 figure, rappresentati con l’aureola e con un cartiglio o i versetti biblici che ne consentono l’identificazione. Tra questi sono Malachia, Sofonia, Nahum, Michea, Giuda Maccabeo, Giuditta.
Sopra gli archi della parete settentrionale, a sinistra, è rappresentata la storia del leone di San Girolamo, accusato ingiustamente di aver mangiato un asino ad esso affidato.
Sulla parete opposta, a sud, è la storia di Balaam e l'asina. In controfacciata, parzialmente nascosto dall’organo barocco, è raffigurato il Giudizio universale, di cui si vedono due ampie porzioni a sinistra e a destra.
Sull'arco trionfale sono raffigurate presumibilmente, scene tratte dal Genesi: la creazione di Adamo ed Eva, la cacciata dal Paradiso Terrestre di Adamo ed Eva. Verso l’aula è il profeta Elia che viene rapito in cielo, e la salita al cielo di Enoc.
“Gli affreschi romanici della chiesa abbaziale di San Tommaso ad Acquanegra sono ora solo parzialmente visibili: le cadute antiche di intonaco, l'inserimento delle volte, delle finestre, dell'organo e la stesura successiva di intonaco hanno reso frammentario l'insieme.
Non si conoscono tracce antiche di decorazioni nella zona sotto le volte, del transetto e dell'abside; a parte pochi elementi decorativi, riemersi dopo il restauro del coro ligneo. Gli affreschi recuperati sono generalmente poveri di colore, perché gli interventi a secco, in buona parte, sono perduti, e dei colori si vede, per lo più, la preparazione o l'impronta.
Gli affreschi, per tecnica esecutiva e per colori, sono divisibili in due cicli: uno più antico, sull'arco trionfale e sull'arco esterno del presbiterio, e un altro, immediatamente successivo e comprendente l'aula della navata centrale.
Il primo ciclo è caratterizzato da una tecnica esecutiva a secco, rapida, stesa direttamente sulla parete, senza segni guida, a parte i segni a compasso per le aureole. L'effetto è di grande freschezza, ma la lettura risulta difficile perché gli affreschi sono ormai poco visibili, e non sempre è agevole comprendere l'iconografia. Lo stile però è lombardo, con evidenti arcaismi, e sono stati fatti confronti con gli affreschi del sacello di Santa Maria Maggiore di Summaga.
L'altro ciclo della navata della chiesa, e della controfacciata, è leggermente posteriore. È caratterizzato da una stesura del colore a tratti a fresco, con abbondanti velature e rifiniture a secco. Il colore è steso dopo che sono stati tracciati i disegni preparatori, di colore bruno. È ricercata una evidente monumentalità, e nella partizione dello spazio si cerca una profondità scalata. Gli elementi sono propri dello stile lombardo con influssi tedeschi e bizantini.
La costruzione delle figure e l'uso del colore, a campiture semplificate, nonché l'impaginazione, hanno fatto pensare a modelli come le Bibbie Atlantiche, prodotte nell'Italia Centrale, tra la fine del secolo XI e la prima metà del successivo.
Sono inoltre stati fatti confronti con gli affreschi della Basilica benedettina di Sant'Angelo in Formis, di San Pietro al Monte e San Calocero a Civate, del battistero di Concordia Sagittaria, di Sant’Antonino a Piacenza, del refettorio dell’Abbazia di Nonantola, di San Severo a Bardolino e della Parrocchiale di Fossacaprara a Casalmaggiore.
I due cicli appaiono comunque riferirsi sempre al codice lombardo, e sono collocabili al primo quarto del secolo XII. Le figure che rappresentano i libri dell'Antico e del Nuovo Testamento potrebbero davvero essere state concepite imitando modelli romani, sia affreschi sia miniature. Il fatto che il cenobio non dipendesse dall'ordinario diocesano e le caratteristiche degli affreschi – il ruolo centrale delle figure profetiche, le scene del Genesi, l'invito a leggere sulle pareti i versetti biblici e dalle pareti passare ai testi scritti, i modelli romani, tratti da affreschi o da miniature della Riforma - confermano che ad Acquanegra si viveva una stagione legata alla Riforma romana.
Probabilmente influì, su San Tommaso, la cultura del monastero del Polirone. Lo attesterebbe un manoscritto conservato a Oxford, del 1145." (Fonte: Wikipedia – Negri, 2002)
MOSAICI
La scoperta dei mosaici invece risale alla fine del secolo precedente e fu causata da un accidente fortuito: il crollo di una porzione della pavimentazione soprastante durante le celebrazioni del Venerdì Santo nel 1898. Circa mezzo metro sotto il piano di calpestio di allora si stendeva un mosaico a tessere bianche e nere. Nel 1900 i lavori di ricerca consentirono di trovare anche l’accesso della cripta che dopo un crollo del pavimento del presbiterio nel 1905 venne totalmente interrata riempiendola di sabbia. Nel 1902 il Moretti rilevava l’inconsistenza del sottofondo del mosaico costituito prevalentemente di semplice calce, inadatto alla conservazione, nonché le varie rotture del pavimento per interventi successivi come posa delle impalcature o “seppellizioni”.
Il mosaico ricopre una superficie di 92 mq e si distende dalla navata settentrionale a quella meridionale seguendo un programma intuibile dai vari lacerti, connesso con le sovrastanti pitture parietali. La varietà compositiva e l’alta qualità anche sul piano ideativo del manufatto non aiuta a delineare il contenuto delle parti mancanti, dato che non si risolve con ripetizioni e simmetrie scontate.
Partendo la lettura dalla navata nord, questa risulta ben organizzata e divisa in pannelli quadrangolari a due a due, in registri successivi affiancati da cornici ornamentali ad elementi romboidali. Elemento unificante è il fondo a tessere nere su cui si stagliano le figure in tessere bianche. A ridosso della controfacciata, appare un primo registro che si stacca dai precedenti per l’uso di tessere rosse per il fondo, senza raffigurazioni ma a disegni geometrici, mentre nel quinto registro sarebbe un unico riquadro trasversale invece dei consueti due affiancati.
Al contrario la navata sud presenta una pavimentazione musiva a fondo bianco a fasce decorative trasversali, racchiusa in cornici circolari e romboidali, dentro le quali si distendono figure zoomorfe e fitomorfe, non sempre individuabili con chiarezza per le frequenti lacune.
Nella navata centrale resta solo un ampio lacerto a ridosso della terza campata settentrionale nel quale sono accolti in una cornice a doppio racemo circolare intrecciato, decori di animali impaginati in uno schema a “cerchi e fusi”. Un modesto lacerto di analoga cornice in corrispondenza della navatella sud dimostra che il mosaico si stendeva per tutte la larghezza della navata. Verso la controfacciata il mosaico e delimitato da una cornice geometrica a triangoli bianchi e neri, tipica per i mosaici pavimentali dell’Italia Settentrionale (Cremona, Pavia, Bobbio).
I mosaici di Acquanegra sono di elevata qualità, qualità che si può riscontrare “nella definizione delle figure, nella precisione dei dettagli e nella disposizione delle tessere” (Vaccaro, 2015), tanto da poter essere considerato uno dei migliori realizzati in epoca romanica nel Nord Italia.
Nelle prime due campate settentrionali abbiamo le raffigurazioni quasi complete di tre miti classici reinterpretati in chiave religiosa. Nel riquadro nord-ovest è raffigurata un’opera identificata come idra (YDRA) dove, su uno sfondo rosso, un animale con una sola testa di cane, invece che sette, innestato su un corpo di quadrupede e con una coda di mostro marino o serpente, ha portato a pensare ad uno scambio tra hydra e hydrus. Quest’ultimo infatti era così descritto nel bestiario medievale ed era considerato capace di divorare i coccodrilli del Nilo. Per questo mosaico si sono fatti paralleli per le analogie riscontrate con i due animali ibridi nel meandro di San Teodoro a Pavia e del draco di San Colombano a Bobbio. La natura ibrida e la derivante doppiezza dell’idra, contrastante col positivo valore cristologico dell’hydrus, ne esplicita la valenza negativa del soggetto, confermata dalla collocazione a settentrione, area connessa al buio, alla mancanza di luce divina, e fa propendere per una semplificazione dello stesso, raffigurato appunto con una sola testa, mentre il colore rosso dello sfondo, distinto dal nero dominante della navata, “enfatizza l’accezione infernale coerentemente con la posizione a sinistra del Giudizio, dalla parte dei dannati” (Vaccaro, 2015).
Non lontano dall’idra troviamo Sinone (SINON), personaggio dell’Eneide che inganna i troiani facendogli accettare in dono il cavallo che li porterà alla disfatta. Sinone è raffigurato a cavallo, mentre con una mano tiene le redini e con l’altra porta la mano al volto dolente. È quindi un personaggio negativo che incarna l’inganno attraverso le parole e la falsità nell’agire e come tale viene raffigurato su sfondo nero nella navata sinistra, a settentrione.
Nel secondo registro troviamo l’immagine di Cerbero (BE-RVS), di cui manca presumibilmente la parte iniziale del titulo, il cane mostruoso a tre teste dalla coda di serpente, posto nello Stige a custodia dell’Ade. In questo caso cerbero è raffigurato con una vista zenitale, a zampe spalancate, probabilmente con una testa sola. Tali soggetti mitologici apparentemente lontani dal mondo monastico e religioso, vanno letti nell’ottica degli scritti esegetici su cui si fonda la cultura cristiana del tempo. Tra questi Ambrogio, Beda e San Girolamo, autore particolarmente significativo per Acquanegra, citano questi esemplari, l’idra e cerbero, nei loro scritti come esempi di mostruosità e crudeltà. La particolare raffigurazione acquanegrese del cerbero non trova riscontri in altri esempi musivi coevi ed è riconducibile piuttosto ai testi miniati di cui il monastero di San Tommaso era storicamente depositario (l’unico codice miniato conosciuto proveniente da Acquanegra è conservato ad Oxford, alla Bodleian Library). Questo porta a pensare che i musivari avessero dovuto seguire un programma iconografico dettato dalla committenza.
Un’altra raffigurazione ben delineata e connessa al programma pittorico parietale è quella dell’asino raffigurato su sfondo nero utilizzando tessere bianche nere e rosse sul dorso e sulle zampe. Emergono i dettagli della muscolatura delle zampe, come del capo, a delineare l’alta qualità iconografica. L’asino è un animale impuro, secondo la Bibbia, ma l’accostamento all’affresco che raffigura l’asina di Balaam, che si fa guidare da Cristo, lo rende ambivalente, oscillante tra il negativo ed il positivo.
A sinistra di Sinone restano tracce di un ungulato, mentre il pannello successivo, probabilmente largo come tutta la navata, presenta parti di cane, vegetali e zampe di una lepre o coniglio. Quindi, dalla terza campata, iniziano una serie di pannelli incorniciati alternativamente bianchi e neri con lacerti di raffigurazioni zoomorfe, dove si distingue un quadrupede a tessere nere e rosse e con una coda particolare ad anelli.
Nella navata sud compaiono ancora reperti frammentari, ma si è potuto riconoscere l’impaginazione geometrica originaria basata su spazi romboidali e cerchi su uno sfondo bianco. In tali riquadri compaiono figure zoo e fitomorfe di piccole dimensioni dall’esecuzione più sommaria, pur con alcuni dettagli di migliore qualità come la lepre affrontata al cane, tali da far ipotizzare la continuità del cantiere. Nella navata sud “le coppie di animali in cui uno dei due appare minaccioso (e negativo) forse rappresentano opposizioni o conflitti” (Vaccaro, 2015). La zona è occupata da un’abbondanza di decorazioni animali e vegetali come a rappresentare il creato, che non assumono un’accezione pienamente positiva, essendo questa riservata alla zona presbiteriale o prossima al coro.
Nella navata centrale l’unico frammento presenta una impaginazione “a cerchi e fusi” contornato da una fascia a scacchiera intrecciata, che accoglie animali. Tale modalità figurativa è presente in altri mosaici come nel non lontano a Pieve San Giacomo (CR), nel Camposanto di Cremona, o, più lontano, ad Otranto. Nei clipei di San Tommaso rimangono, pregevoli, due uccelli che si abbeverano ad un calice, un’immagine dalla valenza positiva, chiaro riferimento eucaristico. Essendo la chiesa un edificio monastico, ha portato a supporre che questo spazio riservato ai fedeli, separato dal coro dei monaci, contenesse un altare destinato ai fedeli.
Circa lo sviluppo dei lavori che condusse all’esecuzione della decorazione musiva si pensa che questi potrebbero aver preso avvio da nord-ovest, per proseguire nella navata sud, in cui si trova meno cura nella posa e precisione dei dettagli, mentre al contempo all’inverso si muoveva il cantiere pittorico, i cui ponteggi, quando rimossi, avrebbero permesso l’esecuzione del mosaico nella navata maggiore. Alla luce degli ultimi studi, i mosaici dovrebbero risalire agli anni tra il 1120-30, ovvero verso la fine dell’abbaziato di Pietro (1100-1130 circa).
In conclusione un sentito ringraziamento ad Elisa Mosini per l’interessamento alla visita del gruppo IAM e ad Erminio Minuti (già sindaco di Acquanegra sul Chiese) per averci accompagnato alla visita del sottotetto coi suoi pregevoli lacerti di affreschi.
Testo e foto di Paolo Salvi (ove non specificato diversamente)
Bibliografia essenziale:
Maddalena VACCARO, Il mosaico pavimentale: frammenti, connessioni, visioni; in AA.VV. (a cura di Fabio SCIREA), SAN TOMMASO AD ACQUANEGRA SUL CHIESE, S.A.P., Mantova, 2015
AA.VV. (a cura di Fabio SCIREA), SAN TOMMASO AD ACQUANEGRA SUL CHIESE, S.A.P., Mantova, 2015
Ilaria TOESCA, Enrico PARLATO, L’idra di Acquanegra, in «rivista dell’istituto nazionale d’archeologia e storia dell’arte», 60 (iii serie, xxviii, 2005), pp. 133-142
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