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COLICO (LC, Lombardia), Abbazia di Piona

Immagine del redattore: Paolo SalviPaolo Salvi

Aggiornamento: 24 feb 2023

ITINERARI ARTISTICI DEL MEDIOEVO 1. incontro (26 ottobre 2019) - #incontri_iam COLICO (LC), Abbazia di Piona L’abbazia di San Nicolò di Piona sorge su una penisola suggestiva, quella di Olgiasca, che si protende nella parte settentrionale del lago di Como, nel territorio di Colico. “La prima fonte ci attesta che nel VII secolo d.C. in quel territorio esisteva una comunità monastica, probabilmente di impostazione eremitica. Nel chiostro si conserva il Cippo di Agrippino, che prende il nome dal vescovo di Como che nel 617 fece erigere un oratorio a santa Giustina martire.”


Fondata nella seconda metà dell’XI secolo da monaci benedettini cluniacensi, ospitava una decina di monaci, operando per tre secoli. Consacrata nel 1138 da Ardizzone, Vescovo di Como, ed intitolata alla Beata Vergine Maria. Nel 1154 la chiesa venne ampliata e dedicata a un nuovo patrono: San Nicolao (San Nicola di Bari o San Nicolò). Venne nominata per la prima volta in un documento del 1169. Dato l’esiguo numero di monaci residenti il Priorato di Piona nel 1480 venne eretto per volere papale in commenda. Sotto la Repubblica Cisalpina venne indemaniata e poi passò a proprietà privata divenendo azienda agricola. Nel 1906 venne fatti dei lavori di restauro, che portarono alla scoperta di alcune iscrizioni e affreschi. Nel 1936 la chiesa venne donata ai cistercensi di Casamari, che dal 1938 hanno ripreso ad abitarla.

ARCHITETTURA

a chiesa si presenta con una fronte a capanna dai salienti piuttosto scoscesi con coronamento ad archetti, non molto regolari, in pietra grigia. Essa è segnata da semplici aperture: un portale rettangolare senza stipiti decorati e sobrio architrave monolitico a marcarlo, una ampia monofora a pieno centro, strombata, e nel timpano una finestrella a croce. Il paramento murario è composto da pietre sbozzate in filari di varie dimensioni, poco omogenei ed ordinati, con spessi giunti di malta. La facciata è inquadrata da due larghe lesene che la delimitano interrompendo la cornice ad archetti. Il fianco sinistro, sud-occidentale, verso il lago, ha il paramento scandito nella parte superiore da sottili lesene, che separano gli archetti della cornice sottogronda in gruppi di tre. Tra le lesene in alcune campiture si aprono quattro strette monofore a tutto sesto, e doppia strombatura. Al di sotto delle monofore, la muratura non accoglie alcun tipo di modanatura o elemento decorativo, rimanendo pressoché liscia. Il paramento murario denota altresì le diverse fasi di costruzione, e sorprendentemente, la parte superiore (pietra grigia scura) verso il coro, ha paramento simile anche sul piano cromatico alla parte inferiore verso la facciata, così come simili sono le parti inverse (pietra grigia chiara). Mentre da una parte si desume un ampliamento successivo dell’edificio verso l’attuale facciata, dall’altra si suppongono maestranze più o meno abili nell’esecuzione dei lavori. Questi particolari costruttivi fanno desumere agli studiosi un successivo ampliamento dell’edificio verso la facciata, inglobando un precedente atrio o nartece. Il fianco orientale, sopra il chiostro, è anch’esso scandito da lesene che dividono gli archetti in gruppi di quattro e di tre, questi ultimi in corrispondenza delle medesime monofore del fianco occidentale. L’abside, perfettamente circolare, è la parte con la muratura più accurata, fatta di conci ben squadrati ed accostati, uniti nella parte inferiore da sottili giunti di malta, ed è coronata da una cornice ad archetti in pietra, poggianti su semplici mensoline di sezione triangolare . In essa si aprono due monofore (presumibilmente una terza centrale venne presto tamponata per realizzare gli affreschi absidali). Particolare la copertura dell’abside realizzata con pietre scure scistose, che si sviluppa formando un cono piuttosto slanciato per l’Italia, seguendo un modello tipico d’Oltralpe. Alle spalle dell’abside romanica, si ergono i resti di un abside semicircolare, afferente al precedente edificio dedicato a Santa Giustina, risalente all’VIII secolo. Precede l’abside il campanile settecentesco, che venne a sostituire quello originale fianco opposto, crollato per un cedimento del terreno (affrescato da Leonardo nel suo Cenacolo alle Grazie), realizzato con pianta ottagonale, simile a quello vicino di Santa Maria del tiglio a Gravedona. La chiesa all’interno è ad aula unica, lunga circa 20 m per una larghezza di 8 m, con pareti laterali non parallele e convergenti verso il coro, nelle quali si aprono solo alcune porte e le monofore denunciate nei fianchi. La copertura è piana, mentre il coro è coperto da una volta a botte (tipica di edifici coevi del Piemonte) che precede l’abside con consueta calotta sferica. Il coro affrescato ha nella semicalotta il lacerto del Cristo Pantocratore nella mandorla attorniato dai simboli dei quattro Evangelisti (restano leggibili il toro di San Luca ed il leone di San Marco). Nell’emiciclo del registro inferiore, la teoria dei dodici Apostoli, abbastanza ben conservata, mostra figure ieratiche ancora legate alla postura bizantineggiante. Incerti sono gli autori degli affreschi così come la datazione, tra XII-XIII secolo. Accanto alla porta d’ingresso due acquasantiere sono sorrette da leoni stilofori di pregevole fattura che probabilmente sorreggevano o un ambone o il protiro dell’antica facciata. A destra della facciata si apre un portale che dà sull’atrio di accesso al chiostro, dalla struttura asimmetrica: è uno dei più begli esempi di chiostro romanico pervenutoci, pur arricchito da elementi decorativi e capitelli ormai di gusto gotico. Venne realizzato tra il 1252 e il 1257, per volere dell’abate Bonacorso di Gravedona, come testimoniano due iscrizioni marmoree. I quattro lati sono scanditi da fughe di esili colonnine marmoree che reggono archi a tutto sesto a doppia ghiera, marmorea quella interna, in cotto quella superiore, creando un gioco cromatico elegante. Li reggono capitelli ormai gotici, con prevalenti raffigurazioni fitomorfe, tipicamente dal disegno a palmette o a crochet, con inserti zoomorfi (uccelli, serpenti, mostri) e figurine antropomorfe, per lo più faccine che occhieggiano ammiccanti. Gli elementi architettonici e decorativi sono accomunati in un felice connubio che ne evidenzia la sinuosità e morbidezza delle linee. Recenti restauri hanno messo in luce affreschi eseguiti tra il XIII e il XV secolo: molto interessante il Ciclo dei Mesi associato al “Calendario con Santi”, dove i santi sono raffigurati con il proprio simbolo del martirio (inizi XIII secolo) e il “Miracolo di San Benedetto” della fine del XII secolo.

"La parete nord del portico è ornata da un affresco particolare, una sorta di calendario simbolico con scene che fanno riferimento a singoli mesi o stagioni dell'anno e rappresentanti i lavori agricoli tipici del periodo. Questo disegno è una striscia, quasi un fumetto che percorre la parete, di non eccelsa fattura artistica ma gentile e ingenuo, molto interessante per la testimonianza che dà della vita quotidiana e dei lavori che venivano eseguiti."

CHIOSTRO A destra della facciata si apre un portale che dà sull’atrio di accesso al chiostro, dalla struttura asimmetrica: è uno dei più begli esempi di chiostro romanico lombardo pervenutoci, pur arricchito da elementi decorativi e capitelli ormai di gusto gotico. Il modello di chiostro benedettino si venne sviluppando dall’epoca carolingia al X secolo, con i primi esempi concreti: Saint-Riquer, San Gallo, Fontenelle. Planimetricamente il chiostro sembrerebbe ricondursi alla tipologia della villa romana, con corte centrale e portici perimetrali (peristilio) con funzione distributiva dei vari ambienti. Con lo sviluppo della riforma cluniacense si ebbe un febbrile risveglio delle attività costruttive, con fondazione di nuovi monasteri ed ampliamento o adattamento di quelli già esistenti, sempre secondo lo schema articolato intorno al chiostro, posto sul lato destro della chiesa. Dal confronto di vari complessi dell’epoca emerge evidente il persistere di un modello ormai vincolante. Dal chiostro si accede a tutti gli ambienti: l’oratorio, la sala capitolare, il refettorio, i dormitori, l’infermeria, la biblioteca. Nel chiostro i monaci si riuniscono, passeggiano, leggono, si ritrovano nei vari momenti della giornata ed alla fine per le letture spirituali. Ciò carica l’edificio di una forte valenza teologica, spirituale, morale e mistica. “Nel silenzio della contemplazione l’anima si ripiega su sé medesima, riposa libera e, riparata dai pensieri mondani e materiali, medita sui beni spirituali. Il chiostro emana una forte carica evocativa e simbolica secondo le ricorrenze e i tempi liturgici, secondo gli stati emotivi personali, secondo il progresso spirituale dei singoli: le gallerie, i colonnati, il giardino interno, l’acqua, gli alberi.” (cit: http://www.cistercensi.info/piona/chiostro.htm) La struttura stessa del chiostro, di forma necessariamente quadrangolare, rimanda al significato simbolico del numero quattro, il numero che esprime l’universo: quattro sono i punti cardinali, quattro gli elementi dell’universo, quattro i venti, quattro le stagioni. “Le quattro gallerie, da quella ad ovest a quella a sud, indicano e riproducono umano ed il pellegrinaggio spirituale del monaco verso l’amore perfetto di Dio, e rispettivamente, il disprezzo di sé, il disprezzo del mondo, l’amore del prossimo e l’amore di Dio. Ogni lato ha la sua fila di colonne; alla base di Tutte vi è la pazienza. Il giardino interno riproduce e riecheggia, in piccolo, la varietà, la bellezza e l’armonia del cosmo, in cui i quattro elementi sono non solo rappresentati ma riprodotti: la terra che vi è coltivata, l’acqua che vi sgorga, l’aria in cui è avvolto, la luce da cui è inondato. È un perfetto osservatorio dei tempi e delle stagioni, delle costellazioni e delle fasi lunari. Il simbolismo ripercorre e lega, con forte accentuazione antropologica, la storia dell’universo e dell’umanità, dalla promessa alla realizzazione, dal giardino dell’Eden al giardino di Pasqua, da Adamo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, a Cristo, figlio di Dio, nuovo Adamo, vero albero della vita, piantato al centro del paradiso, vera acqua che dal fonte battesimale zampilla per la vita eterna. In questo senso si può parlare del chiostro come paradiso claustrale e, più precisamente, come paradiso intermedio, come luogo dì passaggio dal paradiso perduto di Adamo, al paradiso ritrovato in Cristo.” (cit: http://www.cistercensi.info/piona/chiostro.htm)

“Ad immagine del macrocosmo, uscito fresco e palpitante di vita dal caos primordiale, il microcosmo claustrale traspira bellezza ed armonia: costruito con sapienza divina secondo peso, numero e misura è la più alta realizzazione estetica, espressione e riflesso di una bellezza che non si spiega ma che si contempla, aspirazione alla visione di Dio coinvolgente più e meglio di qualsiasi argomentazione metafisica ed intellettuale. Il giardino del chiostro è, in genere, quadripartito; scandisce le tappe della spiritualità monastica attraverso quattro tempi: il giardino dell’Eden, il giardino del Cantico dei Cantici, il giardino degli Ulivi, il giardino di Pasqua.” .” (cit: http://www.cistercensi.info/piona/chiostro.htm)

Venne realizzato tra il 1252 e il 1257, per volere dell’abate Bonacorso di Gravedona, come testimoniano due iscrizioni marmoree. Costruito su un terreno digradante è posto su livelli differenti ed i quattro lati sono di misure differenti, sia planimetricamente che nell’alzato, e la voluta palese asimmetria dona all’insieme un notevole dinamismo. Questi, serrati agli angoli da massicci pilastri, sono scanditi da fughe di esili colonnine marmoree che reggono archi a tutto sesto a doppia ghiera, marmorea quella interna, in cotto quella superiore, creando un gioco cromatico elegante.

SCULTURA Li reggono capitelli che vanno dal gusto ancora romanico a quelli ormai gotici, con prevalenti raffigurazioni fitomorfe, tipicamente dal disegno a palmette o a crochet con frutti pendenti o foglie spiegate o chiuse e fiori sbocciati, con inserti zoomorfi (uccelli, serpenti, mostri) e figurine antropomorfe, per lo più faccine che occhieggiano ammiccanti. Gli elementi architettonici e decorativi sono accomunati in un felice connubio che ne evidenzia il gusto per i volumi netti, segnati con precisione, la sinuosità e morbidezza delle linee, secondo una precisa partizione spaziale. Le figure emergono nette in un gioco di luce e di ombre. Sugli abachi sono posizionate pietre piatte poligonali “segnate da una profonda scozia, che raccorda il piallo dei capitelli a quelli dei muri interni ed esterni, sensibilmente pronunciati.” Le colonnine hanno larghe basi a toro con unghie angolari. Nel chiostro di Piona ci sono elementi numericamente allusivi: le 11 colonne del lato ovest alludono agli apostoli senza Giuda Iscariota, le 10 del lato nord i dieci comandamenti, le 12 ad est le tribù d’Israele, le 8 del lato sud la resurrezione di Cristo. Nel lato nord, sul fianco della chiesa, su un abaco e alcuni capitelli sono scolpiti serpentelli con il volto di donna: un richiamo ai monaci a non farsi sedurre dalle tentazioni del serpente e della donna, ma a tenere il cuore fermo in Cristo, a camminare con la Chiesa. Nel lato est, di fronte al capitolo, un capitello è scolpito col volto severo di un uomo, simbolo dell’autorità, dell’ordine del monastero. Nel lato sud, il quinto capitello porta raffigurato il diluvio universale narrato dalla Bibbia: “sul lato est le acque hanno già sommerso tutta la terra, sul lato interno, a sud, le acque sono sorvolate dal corvo che non trova dove posarsi, sul lato ovest le acque sono sorvolate dalla colomba che reca nel becco un ramoscello d’ulivo, verso il giardino è scolpito un albero, verosimilmente una palma, segno della fine del diluvio e pegno di pace di Dio con l’umanità.” In tutte le quattro gallerie sono scolpite molte aquile: otto sugli abachi e quattro aquile su ciascuno di quattro capitelli. “L’aquila, ritenuta capace, dalla cultura medioevale, di fissare direttamente il sole e che, nell’imminenza della morte, spicca il volo verso l’alto, rappresenta, nella simbologia del tempo, il monaco che, nella vita del chiostro, contempla incessantemente il volto di Dio ed è proteso all’incontro definitivo con il Signore.” La critica prevalente riconosce al linguaggio figurativo dei capitelli un’influenza borgognona, “anche se da una certa rigidezza nell’interpretazione delle superfici lisce suppone una forte e radicata rappresentanza di lapicidi locali.” Sui lati est, sud e ovest, si erge, ricostruito o ristrutturato, il fabbricato destinato alle celle dei monaci e una sala riunioni. Bifore e di finestroni, simmetricamente disposti, danno luce ed aria agli ambienti. Le murature sono scandite orizzontalmente da fasce cromatiche alternate e una semplice cornice marcapiano in pietra bianca, che donano movimento e vivacità alle masse.

PITTURA

Gli affreschi del chiostro

Recenti restauri hanno messo in luce affreschi eseguiti tra il XIII e il XV secolo: molto interessante il Ciclo dei Mesi associato al “Calendario con Santi”, dove i santi sono raffigurati con il proprio simbolo del martirio (inizi XIII secolo) e il “Miracolo di San Benedetto” della fine del XII secolo. All’ingresso, nella parete dell’andito, una scena inferiormente mutila, databile ai secoli XV-XVI, raffigura l’apparizione di Cristo a Maria di Magdala. L’affresco è sovrapposto ad un altro più antico: un fregio e due lettere in giallo-oro sormontate da corone regali lo testimoniano. “Il risorto, circonfuso di luce, sorregge con la sinistra un’asta su cui sventola, gonfiata dal vento, la bandiera della vittoria con la dicitura: Lux et vita sum. Un cartiglio si srotola dalla spalla sinistra del Cristo verso la figura posta di fronte con l’ammonizione alla Maddalena: Noli me tangere. La scena è riquadrata in uno sfondo rosso mattone. Nell’angolo in alto sopra la cornice, a sinistra di chi guarda, lo scudo con l’aquila dovrebbe essere lo stemma del committente non ancora identificato.” Nella galleria nord, sul fianco della chiesa, sono gli affreschi più interessanti. Entro una fascia decorativa purtroppo frammentaria lunga 16,60 m ed alta 1,40 m, a circa 1,70 di altezza, sono conservati due grandi frammenti della lunghezza di circa 4 l’uno. Questa è divisa in due registri: quello inferiore, suddiviso in riquadri da fasce gialle, entro campiture rettangolari, raffigura santi martiri, alternati a campiture in finto marmo; quello superiore, suddiviso in riquadri da fasce rosse, riporta il ciclo dei mesi dell’anno alternati a rettangoli con decorazione geometrica. Divide i due registri una fascia di 10 cm con un motivo a fisarmonica di cui è conservato il colore dì una sola faccia su quattro. Nel registro inferiore, da ovest ad est, nel primo riquadro è il frammento di un cavallo e un personaggio non identificato. Nel secondo un san Carpoforo, decapitato, che tiene in mano la propria testa (per altri un Giovanni Battista in una iconografia singolare) e la porge ad un altro con l’aureola, che con una mano regge un libro e con l’altra l’agnello mistico racchiuso in un cerchio. Nel terzo è santa Margherita che libera, tenendo in alto la croce, la fanciulla stretta nelle fauci del drago. Nel quarto, parzialmente conservato, san Lorenzo posto sulla graticola con il fuoco acceso e ed il carnefice alle prese con la forca. Nel quinto è rappresentato il martirio di santa Caterina d’Alessandria legata alla ruota, con il carnefice da un lato e con i genitori dall’altro. Viene nel sesto, quindi, un santo non identificato, disteso su di un palo con il carnefice intento a sistemarne una gamba. Nell’ultimo riquadro il lacerto raffigura i frammenti di una testa e di una grande ala. I riquadri con santa Margherita, con san Lorenzo e con santa Caterina, quelli dei martiri, sono sovrastati dalla mano di Dio benedicente. Nel registro superiore è il calendario dei mesi, come di consueto caratterizzato dai lavori stagionali: ad ovest agosto con la preparazione delle botti, poi luglio e la battitura delle spighe, quindi giugno e la mietitura del grano, aprile con la figura femminile con due mazzi di fiori stretti nelle mani, marzo con la figura maschile tricefala che suona in due corni, febbraio e la potatura degli alberi, gennaio con la lavorazione del maiale. Le due fasce sovrapposte alternano parti figurative a parti decorative. Superiormente lo spazio interno è diviso in 24 quadrati, ognuno dei quali contiene due semicerchi di colori diversi su un fondo rosso con due piccoli fiori bianchi. Questo tipo di rettangolo è alternato con un altro in cui nella decorazione vengono inseriti dei quadrati che contengono un fiore stilizzato. In quello inferiore sono due tipi di specchiature in finto marmo, bianca con contorno rosso e rosa con contorno rosso scuro, e rettangolare con motivi ad onde in diagonale rosse e grigio-azzurre con fiorellini bianchi. “Questi affreschi dovevano stare sulla parte esterna della chiesa: sono di un secolo antecedente la costruzione del portico. Lo stile è semplice e decorativo nell’essenziale personificazione della scena senza sfondi. Vi è, soprattutto nelle immagini simboliche del calendario, una vitalità spontanea delle figure non ambientate ma conducenti l’azione da sé sole e richiamanti le coeve miniature lombarde. Anche nel nostro calendario, almeno per quello che riguarda i mesi, il tono è dimesso, di maniera non colta, popolare ma non volgare. Le figurazioni dei mesi sono ormai sciolte da clause ritmiche, dall’equilibrio classicheggiante né sono improntate alle inflessioni bizantine: è un discorso semplice senza complicazioni di simbologie né di stimoli di filosofie, ma un richiamo chiaro a quanto si compie ogni giorno ad utilità propria e degli altri” (C. Marcora). Sempre sul lato nord, sulla porta di accesso alla chiesa, un lacerto di affresco di incerta attribuzione raffigura il Redentore ed è stato sottoposto ad un restauro maldestro. Nella galleria orientale, vicino alla sala capitolare, lo stemma dell’abbazia di Cluny, casa-madre di Piona. Nella galleria sud del chiostro è affrescata la scena di san Benedetto che respinge la tentazione, così narrata da san Gregorio Magno nel Secondo Libro dei Dialoghi: «Alla sua fantasia lo spirito maligno ricondusse l’immagine di una donna, che aveva conosciuto anni prima. Toltosi le vesti, si gettò nudo tra i rovi e le ortiche e con le ferite del corpo guarì quelle dello spirito». “La vivacità dei colori, lo stile, il costume della donna ci portano in pieno Trecento. Viene il sospetto che forse tutto il portico fu a quell’epoca affrescato con raffigurazioni di episodi riferentesi alla vita del patriarca dei monaci d’occidente” (C. Marcora).

“Nel chiostro ognuno occupa, secondo l’ordine, il proprio posto; così nel paradiso ognuno riceverà il proprio posto secondo i propri meriti". Onorio di Autun (1080 ca – † post 1153), Gemma animae.

Bibliografia: Sandro Chierici - La Lombardia, in Italia Romanica, 1978, Jaca Book, Milano A. Novati, F. Sala - Il Lario e le sue valli: Paesaggi del romanico lombardo, 2018, GWMAX, Como Sitografia https://www.abbaziadipiona.it/ https://www.eccolecco.it/.../chiese.../abbazia-piona-colico/ https://it.wikipedia.org/wiki/Abbazia_di_Piona http://www.cistercensi.info/piona/chiostro.htm http://www.lombardiabeniculturali.it/.../schede/1n090-00051/

Notizie utili: Abbazia Cistercense di S.Maria di Piona

Via Abbazia di Piona, 55 - 23823 Colico (LC)

info@abbaziadipiona.it- Tel: 0341-940331

SS. Messa Feriale: ore 7.00

SS. Messe Festive: ore 9.30 - 11.00 - 16.30 (non viene celebrata la messa pomeridiana il Sabato e i giorni prefestivi)

Vespri: ore 18.30 (celebrato sempre in canto gregoriano)

Visite: 9-12, 14.30-18.00

Visita guidata per gruppi: è bene avvisare dell'arrivo qualche giorno prima e chiedere la disponibilità di un monaco per la guida. Non si paga nulla, è gradita una offerta. L'abbazia dispone di un ampio parcheggio gratuito.












































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